Testo critico-curatoriale

Il Respiro di Gianluca Patti alla Cittadella degli Archivi di Milano

di Giorgia Ligasacchi ed Ester Candido

Le zone di verde costituiscono il vivaio e le palestre per i nostri bimbi e per la nostra gioventù”. È il 1929 e sul quotidiano “Il Popolo d’Italia” viene pubblicato un articolo dal titolo “In tema di Parchi”, sensibilizzando sull’urgenza che Milano, in linea con le altre grandi città d’Europa e d’America, ripensi gli spazi urbani dotandosi di “un sufficientemente vasto patrimonio di verde” che sia accessibile a tutti i cittadini (e specialmente alle famiglie più umili e bisognose di tali servizi).

Lo scritto, custodito presso la Cittadella degli Archivi di Milano, è l’incipit e il fulcro attorno al quale ruota l’opera muraria di Gianluca Patti (Monza, 1977), pensata e realizzata appositamente per questo luogo in occasione del progetto “Muri d’Artista”. Un articolo che – riletto alla luce dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU – si presenta più attuale che mai. Se negli anni ’30 del XX secolo la superficie complessiva dei giardini pubblici e dei due parchi del Castello e Ravizza rappresentavano una percentuale minima rispetto all’area fabbricata, oggi la situazione è certamente migliorata (13,8% della superficie, ISTAT 2022), ma siamo ancora molto lontani dalla quantità e dalla qualità di verde che nelle altre capitali mondiali favorisce la biodiversità, contrasta le isole di calore e preserva il suolo dalla siccità.

È importante non perdere la memoria di tali riflessioni così lontane nel tempo, ma così utili nel fornire una bussola per il nostro presente. Oggi come allora, ripensare gli spazi urbani rendendoli più verdi, sostenibili e accessibili, aumentando i parchi pubblici e assicurando un’adeguata manutenzione, significa prendersi cura della salute di cittadine e cittadini e rendere le città più resilienti ai cambiamenti climatici in atto.

Si tratta di un tema di responsabilità sociale che Gianluca Patti evoca sin dal titolo della sua nuova opera: “Respiro”. Un intervento artistico che vuole richiamare la funzione vitale per eccellenza, ma anche e soprattutto agire come un invito a prendere coscienza della questione ambientale. Una vera e propria “call to action” indirizzata ai cittadini e alle istituzioni. È la voce stessa dell’artista a parlarci per mezzo del colore, affermando con forza: “torniamo a trascorrere tempo di qualità all’aperto; torniamo a respirare aria pulita, a muoverci, a socializzare; torniamo a riappropriarci di quegli spazi che ci appartengono e che non devono necessariamente essere divorati dal cemento.”

Ci appare così davanti agli occhi una mappa intricata di elementi floristici che lo spettatore ha il privilegio di osservare indisturbato dall’alto, grazie a una veduta a volo d’uccello. Un grande tappeto-natura, per citare il maestro Piero Gilardi, direttamente ispirato e generato dai ricordi d’infanzia dell’artista, trascorsa tra l’attività di famiglia, la sua casa e il Parco di Monza. Questo immenso polmone verde – uno dei parchi cintati più grandi d’Europa con i suoi 720 ettari di prato, alberi, piante e gioielli architettonici – è un luogo caro nella memoria dell’autore. Nella sua opera si possono ripercorrere le corse e il gioco del nascondino con gli amici, le gite e passeggiate in solitudine o in compagnia, i profumi della primavera nel rigoglioso Roseto della Villa Reale e, ancora, i colori accesi e vividi dell’autunno lombardo.

Attraverso la mia ricerca – confida l’artista – parlo delle mie origini, della mia famiglia, dei miei ricordi e dei miei sogni, del bambino che ognuno porta con sé. Racconto la mia storia personale, che ovviamente è influenzata da persone, luoghi e avvenimenti, come quella di chiunque altro.”

Le opere di Patti parlano di e con Patti stesso. Quella a cui dà vita è un’arte estremamente intima e personale, un racconto esistenziale autentico e per questo capace di rivolgersi a ciascuno di noi, di coinvolgere indistintamente nella sua poetica, comunicando un messaggio universale. Ripercorre la storia dell’arte, attingendo a un vasto repertorio di forme, luci e colori. Lo fa con grande cura e rispetto di chi lo ha preceduto, seguendo la propria visione creativa resa concreta da uno stile unico e riconoscibile. E così nei suoi lavori ritroviamo la complessità emotiva di Yayoi Kusama, il rigore compositivo di Krystztof Kamil Malevicz, l’energia cromatica di Massimo Kaufmann, fino ai sublimi prati in fiore di Gustav Klimt.

“Respiro”, in particolare, parla di infanzia ma anche di nuove generazioni, di ciò che è stato e che potrebbe divenire, è un invito a fermarsi e a prendere coscienza dello stato dell’arte e allo stesso tempo a non smettere di guardare oltre il limite architettonico del muro, ad attraversarlo e andare in profondità, a non avere paura di sognare un futuro diverso.

Per questi motivi Patti decide consapevolmente di cimentarsi in una nuova e inedita sfida, come lui stesso ha sottolineato: “Si tratta, questa, sicuramente di una interessante prova e il muro di una nuova superficie da sperimentare. La mia generazione è cresciuta e si è confrontata con il ‘Muro di Berlino’ e con ciò che ha significato per tutti noi. Mi guardo attorno e vedo la mia città ricca di murales e penso che in fondo siano tante storie che raccontano la vita di tutti noi. Ora tocca a me farlo! Lasciare la mia impronta in un luogo così importante come la Cittadella degli Archivi, un luogo magico che, all’interno del suo archivio, racconta la storia della città custodendo documenti che risalgono al 1800.”

Se le astrazioni a cui ci ha abituato finora hanno avuto una sequenza creativa ormai ben consolidata, frutto di un percorso da autodidatta che lo ha portato a mettere a punto una precisa tecnica attraverso cui i materiali sono analizzati, scelti e trattati fino ad assumere la silhouette desiderata, questa volta l’artista si spinge “oltre”.

Niente più tele su cui lavorare in orizzontale alla Jackson Pollock – tra i grandi maestri che più hanno influenzato la sua tecnica pittorica –, qui è la verticalità possente e solida della parete a dominare la scena. Abbandonata anche la resina, materiale edile scelto in ricordo dell’attività paterna che garantisce la resa lucida e plastica di una scultura, in favore di una bidimensionalità che risulta quasi inusuale se posta a confronto con la sua produzione precedente. Via anche l’effetto reticolato ottenuto con il calco dei fogli di pluriball: il suo “marchio di fabbrica” è questa volta affidato completamente al pennello, con un’esecuzione lunga, attenta e ragionata.

Un lavoro metodico e meditativo che assicura – pur con l’utilizzo di media differenti – un risultato in linea con il gesto pittorico che caratterizza le sue precedenti creazioni. Patti, dunque, riesce anche in questo caso ad astrarre la sua idea in un piacevole groviglio di colori e forme che compongono quella trama visiva distintiva del suo linguaggio, già identificata dalla critica come una sorta di personale lente sul mondo. Se nel 2015 riproduceva le superfici parietali nella serie “Walls”, dando consistenza cementizia alle tele, questa volta il muro è esso stesso la base da cui partire. Ma è un muro vivo e funzionale come il giardino panoramico che rappresenta.

Una vitalità rimarcata da Patti con la scelta di utilizzare vernici ecosostenibili, allineando soggetto e tecnica in un connubio che dimostra un profondo rispetto per l’ambiente e una consapevolezza ecologica presente in ogni aspetto del suo lavoro, e contribuendo a una rivoluzione silenziosa nel panorama dell’arte pubblica. Applicati sulle superfici esterne, questi innovativi pigmenti non solo garantiscono una qualità visiva eccellente ma contribuiscono soprattutto a un ambiente urbano più sano, riducendo l’inquinamento atmosferico e migliorando la qualità dell’aria, andando a disintegrare in modo naturale ossidi di azoto, composti organici volatili, idrocarburi e polveri PM organiche.

Un aspetto da non sottovalutare se si pensa al fatto che le città occupano solo il 3% della superficie terrestre, ma sono responsabili del 60-80% del consumo energetico e del 75% delle emissioni di carbonio. L’accesso a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibile diventa, quindi una priorità: se oggi metà della popolazione mondiale, circa 3,5 miliardi di persone, vive in città, si stima che entro il 2030 questa percentuale sia destinata a salire almeno fino al 60% (Agenda 2030, unric.org).

Oltre ad avere una funzione estetica e a fungere da catalizzatore per la consapevolezza ambientale nella comunità di Milano, “Respiro” contribuisce attivamente al disinquinamento in una delle aree più densamente popolate d’Italia, dimostrando come l’arte e l’ecosostenibilità possano coesistere e rinforzarsi virtuosamente a vicenda.

Macchie di colore giallo, bianco, arancio, blu, rosa, viola e verde; con ogni pennellata, l’artista arricchisce il tessuto urbano con bellezza e significato, ma allo stesso tempo invita a una riflessione collettiva più profonda sulla nostra responsabilità verso l’ambiente, su come scelte individuali e professionali possano contribuire a un futuro più “green”. In questo senso, l’opera di Gianluca Patti non solo decora, ma anche educa e ispira, facendosi punto di riferimento e modello, dimostrando che l’arte può essere una forza positiva e trasformativa nella nostra società. È una dichiarazione d’intenti e un atto di impegno verso un mondo più verde.

Si parte così dal passato, dai documenti d’archivio che permettono di rivivere pezzi di storia, aneddoti sconosciuti, conversazioni private e tutti quegli eventi che hanno segnato questa cosmopolita e avanguardistica città, per sensibilizzare sul presente e sulle sue necessità. Un richiamo visivo che desta interesse, un’interrelazione tangibile tra ciò che è stato e ciò che potrebbe divenire, situazioni già accadute e proposte future, arte e storia che – fondendosi – sprigionano tesori che racchiudono in sé i ricordi di un’intera comunità.

E se da sempre “l’arte contemporanea affronta le grandi problematiche odierne dell’umanità: dalle migrazioni epocali alle ingiustizie sociali” – come ci ricorda ancora Piero Gilardi – “Il collasso ecologico, che ci ha portati nell’Antropocene […] è indubbiamente il problema più drammatico. L’arte odierna vuole [e anzi, dovremmo dire, deve] stimolare la presa di coscienza del disastro ecologico in atto e anche suggerire nuove modalità di vita ecologicamente virtuose che possano salvare l’umanità e la biosfera.”

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